"Hai visto come ha preso quella duna? Tra un po' ci cappottiamo...che figata!".
Sentivo i ragazzi bisbigliare da dietro mentre continuavamo a guidare in cerca del pozzo e della signora che fa il tè, quando fuori ci sono 40 gradi.
La sabbia entrava dai finestrini aperti assieme ad un'aria molto fresca; il braccio di Mahjoub fuori a penzoloni, il suo anello brillava come un sole.
Avevamo preso la direzione che da M'Hamid porta all'interno del deserto.
Dovevamo dormire lì, nella sabbia, nel deserto, accendere un fuoco e guardare le stelle. Sì perché le stelle viste da dentro un deserto non sono proprio solo stelle. Sono più simili ad una grande città che vola, che si sposta, si accende e si spegne. Uno spettacolo mozzafiato.
E proprio una notte di stelle una giovane donna mi raccontò una storia:
“Nel deserto le popolazioni si spostano allo spostarsi dell'acqua e degli animali; gli inverni sono duri. Omar era piccolo e inesperto, e non sapeva che il latte dell'albero fosse velenoso: le sue radici si nutrono dei rifiuti della terra. Il ragazzino assaggiandolo si avvelenó e il fratello maggiore si mise a tagliare l'albero per vendetta! Di quella legna ne fecero carburante per il fuoco, per scaldarsi nelle notti stellate”.
Così avevamo fatto anche noi.
Arriviamo.
Ad aspettarci c'è il campo base, che è semplicemente come un miraggio: ci sono le tende, tappeti colorati, acqua e cibo, cammelli e una distesa di sabbia e di dune. Taglio la legna. Mai avrei pensato di doverlo fare nel deserto: il profumo del fuoco ha qualcosa di magico. Questa è Erg Chigaga, casa nostra per questa notte.
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